Le calze della befana

La vecchia befana aveva un paio di calze di lana a righe bianche e nere. Le indossava ogni notte per il suo giro di ricognizione su tetti e balconi, ma… quella sera si accorse che erano diverse, più piccole e meno soffici. Finite per sbaglio nel mucchio dei panni sporchi e poi in lavatrice a novanta gradi, erano diventate come un collant da bambina, strette e infeltrite.

Caterina se ne era accorta all’ultimo momento e non sapeva come rimediare quella distrazione poco elegante per una befana che si rispetti.
Quella notte stellata faceva molto freddo e non poteva uscire con le calze fini, doveva trovare a ogni costo un rimedio per volare. Come fare? Questa domanda la tartassava e batteva con insistenza colpi sulle sue tempie ormai grigie e grinzose. Avvertì il terzo e ultimo colpetto quando le balzò in testa un’idea. «Ecco, ho trovato!» disse a se stessa. A dire il vero non era niente di geniale, ma un rimedio semplice e superficiale. Provò a tirarle una, due, tre volte, poi allargò il giro vita non più da ballerina, ma da nonna innamorata della nipotina. Era disperata e arrabbiata, l’amico Gufo l’aspettava sul balcone del palazzone davanti e già dava segni di nervosismo.
Lui così puntuale a ogni appuntamento avrebbe urlato: «È tardi, tra poco giungerà l’alba!»

A furia di sottoporre quei collant a torture e stirature, riuscì finalmente a introdurre la gamba destra e poi la sinistra. Tirò ben bene per evitare grinze, si accomodò il pedule e tirò ancora un po’ il giro vita. «La lana – pensò – è sempre lana, calda e protettiva anche se un po’ infeltrita».
Gufo era davvero arrabbiato, non ne poteva più; prima o poi avrebbe interrotto quel sodalizio fatto di amicizia e voglia di volare sulla scopa di una vecchia befana. Lui aveva sperimentato soltanto il volo con suo padre quando gli aveva insegnato a solcare il cielo. Era piccolo allora e doveva prendere confidenza con il cielo di notte, proprio quando le tenebre fanno paura. Se ci sono le stelle, volare è semplice, ma se non si vogliono accendere si può sbattere contro un muro o un tetto. A un tratto, udì un colpo secco contro la ringhiera del balcone e nello stesso momento, abbagliato dalla luce che proveniva dalla piazza sottostante, chiuse gli occhioni gialli e li nascose dietro l’ala destra. Caterina era arrivata finalmente e come un turbine gonna e scialle sventolarono anche in assenza di vento. Alla velocità di una saetta, quei collant stretti si rifiutarono di aderirle al corpo, così calando pian piano lasciarono scoperti pancia e fianchi. Emise due o tre starnuti. «Etci, etci, che freddo!»
«Buonasera», esclamò messer Gufo, stufo di aspettarla. «Buonasera a te, amico spazientito!»
A quel punto, un bagliore mozzafiato inondò come l’alta marea palazzi palazzoni e tutta la piazza. I lampioni si spensero all’improvviso e scintille di fuoco zampillanti investirono l’area vicina e lontana. Sembrava di udire il suono di una friggitrice elettrica e incandescente sul punto di provocare un corto circuito, mentre mille lingue di fuoco variopinte tremolavano in qua e in là come volessero parlare. Insomma la piazza del paese era irriconoscibile: tutto a soqquadro come un parco giochi per grandi e piccini. I fuochi d’artificio arrivavano fin quasi al cielo rischiarandolo ora di bianco-argento, ora di azzurro o giallo. Arrivò un lungo corteo di gente dietro a un carro agghindato di maschere e stelle filanti, su cui si innalzava un grosso pupazzo di cartapesta che dimenava la testa. Caterina e Gufo capirono cosa stava accadendo: era l’ultimo giorno di carnevale e forse era meglio lasciar perdere e volare con la scopa un’altra volta. Viaggiare per il cielo non era il caso e poi le calze calavano piano piano lungo i fianchi, meglio scendere dal palazzone e mangiare cenci e castagnole.

Mescolati tra la folla, parevano due amici qualunque, solo la scopa doveva essere riposta in un rifugio sicuro, lontano dagli sconosciuti. Così fece Caterina. La scrollò un po’e la ripose in uno sgabuzzino segreto perché nessun bambino potesse trovarla e gli venisse la voglia di volare. Adesso la befana è davanti alla bancarella dello zucchero filato, in fila ad aspettare per poterlo gustare. Tiene in mano il fazzoletto per detergersi la bocca appiccicosa e con l’altra mano stringe lo stecco bianco come quello della chioma cotonata di una maschera. Tante maschere le ballano intorno e non si ricorda più delle calze rimpiccolite. Un bambino la prende per mano e insieme cantano e ballano. Anche Gufo balla sulla sua spalla e nessuno più pensa a volare né alle calze di lana infeltrite. Il Re Carnevale è già arrivato raggiante con la corona dipinta di giallo e la banda comunale accanto. Le calze ormai non svolgono più la loro funzione; le gambe agili della befana sentono freddo, ma tanto tra poco sarà acceso un bel fuoco che riscalderà tutti i presenti e anche Caterina. Domani ci penserà e un altro paio di calze acquisterà se vorrà volare e non solo camminare.

Tamara Morelli

1 Comment on "Le calze della befana"

  1. ELISABETTA WILKENS | 22 Dicembre 2021 at 9:36 |

    Grazie a Tamara per queste sue “chicche” !
    In questo mondo sempre più grigio, non soltanto per la pandemia, è un piacere leggere i suoi scritti elaborati con passione.
    Grazie ancora a Tamara ! Elisabetta

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