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Martedì 15 c’è stata la decima edizione del ‘Li omini boni’ e l’undicesima del ‘Berni’.
Una serata di livello, che “sembrava vera”, come dico di solito io quando tocco con mano delle cose che sono fatte talmente bene che sembra arrivino da un mondo diverso dal mio (la televisione ha fatto tanto, nel creare questa distanza da cose che sembrano extraterrestri, ma che invece possono essere ricreate e fatte per bene anche sotto casa).
È stato il mio ottavo premio, nel quale ho messo lo zampino solo dai margini, per motivi tutt’altro che tragici, ma non è questo il punto.
E fra gli otto mi è sembrato di un livello diverso degli altri – non migliore, né peggiore – come d’altronde ogni edizione ha avuto un suo carico (vorrei sommessamente ricordare, ma neanche poi tanto sommessamente, che questo premio ha portato a Vinci nomi grossi del giornalismo italiano). E come ogni edizione, anche questa mi ha lasciato qualcosa.
Due in particolare, sono i passaggi che mi hanno bloccato lì a riflettere.
Uno quello di Silvia Rosa-Brusin, che è stata per trent’anni il volto del TG Leonardo. Raccontava, la Rosa-Brusin, che quando hanno inventato il tg scientifico cercavano modelli in giro per l’Europa, modelli simili che facessero della scienza il tema principale di un telegiornale, cosa che diventa un’impresa farlo per dieci minuti al giorno per cinque giorni a settimana per oltre trent’anni. Ma loro ci sono riusciti, entrando in un ginepraio redazionale che avrebbe previsto una rete di contatti fidata, fedele e costante, che riuscisse a fornire il materiale adatto per andare in onda.
Ciò significa che hanno cominciato a coltivare un terreno fertile e vergine, e un terreno fertile e vergine è praticamente un investimento sul futuro che procura sicurezza, libertà d’azione e dominanza. Un po’ come quelli che dalle Tredici Colonie nordamericane si sono spostati verso ovest, dove, nel nulla, hanno cominciato a costruire da zero. Facile, costruire nel nulla; un po’ meno mantenerne lo status, la vitalità. Essere costanti, insomma.
Al TG Leonardo ci sono piano piano riusciti, arrivandoa trenta e rotti anni di trasmissione. Lunga vita.
L’altro passaggio che ha destato la mia immaginazione è stata la storia di Maura Tombelli, che lei stessa ha raccontato, mentre rispondeva alle domande di Francesca Pinochi, che ha presentato la serata.
Tombelli era bancaria e dal nulla, mossa dalla curiosità, ha deciso di interessarsi di astronomia. Prima non ne sapeva niente; da zero – quasi trent’anni fa – è diventata l’astronoma dilettante italiana che ha scoperto più asteroidi di tutti, 198.
Ciò significa grande dedizione, grande passione. Certo, ci vuole anche attitudine, e forse quella di Tombelli per le stelle lo è. Fatto sta che ogni cosa è nostra se in quella cosa riusciamo a tuffarci senza paura di annegare.
Son due insegnamenti, questi, che si possono applicare anche all’organizzazione dei premi della serata. Anch’essi nascono dal nulla, e con un po’ di fatica sono riusciti ad arrivare alla prima decade, diquella fatica piacevole, come quella dopo una corsa di chilometri, fatta di saliscendi, buche, percorsi rallentati, soste per bere, e all’arrivo la voglia di farne un’altra.