Non solo mimosa per l’8 marzo

“Intervenire sul terreno educativo con progetti che investono la scuola, a partire dai più piccoli, perché la donna è una persona con diritti e dignità”.

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Tamara Morelli ha pubblicato per Ibiskos Una mimosa per dire… donna. Breve saggio sulla donna nel tempo, nel quale è viva l’esortazione a uscire da una condizione latente e tuttavia presente per la quale la donna è ancora vista come inferiore e trattata di conseguenza. Un invito a sradicare questa credenza sin dai primissimi anni di scuola, per abbattere ogni pregiudizio e crescere nuovi uomini e nuove donne consapevoli del valore delle persone, al di là del genere.

L’8 marzo è la Giornata Internazionale della Donna, istituita dall’ONU nel 1977 per valorizzare il ruolo delle donne nella società. Essa, tuttavia, ha radici lontane; infatti fu il Movimento Internazionale delle Donne Socialiste, durante la seconda Conferenza di Copenaghen del 1910, a scegliere la data dell’8 marzo.
Perché proprio quella data non è chiaro. Circola l’ipotesi che 129 operaie fossero morte nell’incendio dell’opificio di cotone a New York, durante una manifestazione nel 1908. Questa giornata venne così ricordata in varie parti del mondo e pure in Italia nel periodo durante la prima Guerra Mondiale. Interrotta dalla dittatura fascista, riprese durante la Resistenza come giornata di mobilitazione contro la guerra e per rivendicare i diritti delle donne. In collegamento al CLN, nacquero i gruppi di difesa della donna, che successivamente dettero origine all’UDI (Unione Donne in Italia). Nel 1946, l’UDI preparò il primo 8 Marzo nell’Italia libera dal fascismo, come giornata per il riconoscimento dei diritti civili e politici delle donne. Furono le donne dell’UDI, e in particolare Teresa Mattei, la più giovane madre della Costituzione, a scegliere la mimosa come simbolo di quella giornata. Se la mimosa è già sfiorita per effetto del clima troppo mite, non è certo sfiorita l’idea da cui ha avuto origine questa giornata e cioè l’affermazione dei diritti delle donne e il contributo che esse sono capaci di dare alla pace.

Troppo spesso volutamente relegata tra le pareti domestiche, considerata al pari di un oggetto in un rapporto di sudditanza da parte degli uomini come vige ancora in certe parti del mondo, la donna ha subito e subisce una mentalità maschilista e sessista. Pregiudizi, stereotipi e linguaggio spesso offensivo continuano a colpirla, a ferirla fino alla morte nel corpo e nell’anima.
Molte sono le lotte che esse hanno combattuto per affermare i loro diritti, dal suffragio universale a partire dalla fine dell’Ottocento, passando per l’esperienza lavorativa quando gli uomini erano al fronte, che assicurò loro una certa autonomia, giungendo alla rivoluzione femminista della fine degli anni Sessanta del secolo scorso, che ebbe come effetto la realizzazione di diritti civili come il divorzio, il nuovo diritto di famiglia e l’aborto.

Dobbiamo ricordare pure le donne di Vinci prima dell’inizio della Grande Guerra e il loro contributo alla causa della pace.
Infatti, molte donne provenienti anche dalle campagne del comune andarono davanti al municipio nel marzo 1915 al grido “Abbasso la guerra!”. Ricevute dal sindaco, gli presentarono un documento con la seguente dicitura: “Le donne del Comune di Vinci protestano contro la guerra e fanno voti che i loro figli non siano trascinati in questo immane flagello”.
Un altro esempio della combattività delle donne del nostro territorio è testimoniato dallo sciopero delle fiascaie di Montelupo e dintorni nei primi anni del 1900 per ottenere migliori condizioni di lavoro.

Le donne hanno sempre dimostrato di essere animate dal senso di giustizia e dal desiderio di pace, la sola condizione che può portare sviluppo in tutti i sensi. Nonostante i grandi passi che hanno compiuto per la loro emancipazione, ne occorrono tanti altri per il raggiungimento delle pari opportunità nel tessuto sociale ed economico.
Ancora, nel XXI secolo, a parità di mansioni lavorative, una donna, per il fatto di essere tale, guadagna meno di un uomo. Come sostiene il presidente Mattarella, la civiltà di un paese si misura dalla condizione femminile, perché “non possiamo continuare ad assistere inerti alla violenza nelle case e nelle strade sulle donne, vittime di distorte e criminali mentalità di possesso e dominio”.
La violenza sulla donna non è mai da ritenere un fatto privato della coppia, ma riguarda tutta la società , da cui si misura il grado di maturità civile di un paese. Nonostante l’esistenza di un’apprezzabile normativa che tutela le vittime, molte donne sono reticenti a segnalare gli abusi proprio perché persistono ancora pregiudizi e stereotipi atavici sull’essere femminile. Poiché le leggi non bastano da sole ad aggredire il fenomeno, per attuare l’art.3 della Costituzione sull’uguaglianza di tutti i cittadini e assicurare il rispetto della persona e la parità di genere occorre partire dall’educazione in famiglia e a scuola, come previsto da “Le Linee guida Nazionali” all’articolo 1 della legge 107/2016, indirizzate alle istituzioni scolastiche.
In vari luoghi, come pure nel nostro Comune, precisamente a Sovigliana in Piazza della Costituzione, davanti alla scuola media, è stata posta un panchina rossa che vuole simboleggiare le donne vittime della violenza maschile. Su questa è affissa una frase di Kofi Annan, che recita: “La violenza sulle donne è la più grave violazione dei diritti umani. Essa non ha né confini geografici, né di cultura o ricchezza. Fino a che continuerà, non compiremo reali progressi di uguaglianza, sviluppo e pace”.
Questo monito, assai significativo, vuol far riflettere quegli uomini che credono di possedere un oggetto invece di aver a che fare con una persona. Franca Viola, simbolo dell’emancipazione delle donne italiane, con grande coraggio nel 1965 rifiutò di sposare il suo stupratore, sfuggendo giustamente al matrimonio riparatore che prevedeva l’estinzione del reato. Solo nel 1996 lo stupro sarà riconosciuto dalla legge non più un reato contro la morale, ma contro la persona.

Nel giugno 2008, nell’ambito delle politiche d’intervento dell’assessorato alle pari opportunità, è stata istituita la Consulta delle donne del Comune di Vinci, finalizzata alla partecipazione femminile, alla garanzia della parità di opportunità tra uomo e donna e alla valorizzazione del ruolo femminile. Possono far parte della consulta tutte le donne residenti o che lavorano nel Comune di Vinci. La consulta, con il contributo delle associazioni locali, si è resa promotrice di eventi, iniziative e convegni su temi centrali per la tutela delle donne e delle pari opportunità quali la violenza di genere, il lavoro, la conciliazione tra famiglia e attività lavorativa.
Sostenere la figura della donna nella società e far riflettere su luoghi comuni che spesso accompagnano ingiustamente la sua immagine è certamente la sua finalità principale. Assessore alle pari opportunità è la vice sindaco Sara Iallorenzi e la sua presidente è Germana Frusciante, impegnate con il Comitato di Coordinamento nello svolgimento di iniziative e percorsi in favore delle donne. Una bella iniziativa promossa lo scorso anno è stata quella del 9 marzo 2019, che ha intitolato il lungarno di Spicchio- Sovigliana a Nilde Iotti, madre costituente e presidente della Camera dal 1979 al 1992. Solo attraverso il riconoscimento reciproco e la parità di opportunità sarà possibile realizzare liberamente progetti di vita, secondo le aspirazioni individuali e costruire una società migliore, dove donne e uomini possono essere considerati uguali nella differenza.


Tamara Morelli