Alfonso Testi, pittore di “macchia”

Torniamo alla scoperta della vita di nostri concittadini illustri. Questa volta tocca a un soviglianese, raccontato da Ilaria Morelli.

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Alla ricerca di nostri illustri antenati persi tra le ceneri della memoria, riappropriamoci di un vinciarese (anzi, soviglianese!) segnalato erroneamente, in tutte le biografie, come empolese: Alfonso Testi, pittore macchiaiolo, nacque e morì nella sua bella casa di Sovigliana ubicata tra la nave e i depositi di ghiaia, lungo la via maestra «di fronte al sole, cui l’ampio alveo del fiume apre fino all’opposta sponda un vasto orizzonte e rende incantevole la posizione» (ACV, postunitario, V.2.1).

Lo sapevano bene Gustavo Uzielli e Telemaco Signorini che, in Gita a Vinci, scrivevano « [..] lasciammo Empoli e passato il ponte sull’Arno traversammo Sovigliana e lì mandammo un pensiero a Alfonso Testi».
Allievo di Enrico Pollastrini all’Accademia di Belle Arti di Firenze e a sua volta professore di scultura, frequentatore dei macchiaioli del caffè Michelangelo, era un buon amico di quel gruppo d’intellettuali buontemponi, di cui facevano appunto parte il Signorini e l’Uzielli, spesso attratti dalle colline di Vinci, ospiti di Renato Fucini, del Conte Masetti da Bagnano e dei fratelli Berto e Ghigo Martelli.
Figlio di Pietro Testi, facoltoso (nei censimenti era indicato come possessore di almeno cinque grandi case ad uso locatizio) e prolifico (nel censimento del 1841 erano registrati ben otto figli che purtroppo, nel 1861, si erano ridotti ai soli Angiolo, Bartolommeo, Alfonso e Filomena), mercante di legname, Alfonso morì il 3 maggio 1916 all’età di 73 anni.
Forse in un impeto foscoliano, nel suo testamento olografo del 18 febbraio 1915 lasciò «al Comune di Vinci od a quell’ente che potrà subentrare in seguito nella direzione ed amministrazione del Cimitero di Sovigliana, £.800 (ottocento) da investirsi in rendita pubblica, affinché il frutto ricavato da detta somma debba servire in perpetuo a riparare la cappella funebre dalle ingiurie del tempo e della stagione».
Il legato fu accettato dalla nostra amministrazione con deliberazione podestarile del 20 maggio 1929.
Ancora oggi possiamo ammirare, all’interno della Cappella Testi, il bel medaglione in marmo raffigurante il pittore, opera di Domenico Trentacoste, preside dell’Accademia di Firenze.
Alla morte del fratello Bartolommeo, ultimo discendente diretto della famiglia (Angiolo era deceduto nel 1897 e Filomena si era spenta nel 1919), avvenuta in Empoli il 22 settembre 1922, gli eredi continuarono ad adempiere all’altra disposizione del testamento di Alfonso, ossia l’acquisto di un posto nel ricovero di Empoli per un povero/a residente a Sovigliana, sino a quando, il 12 dicembre 1928, non avanzarono la domanda di esonero al Prefetto di Firenze mediante la consegna di un titolo del debito pubblico alla Congregazione di Carità di Vinci che avrebbe avuto l’onere dell’esecuzione in perpetuo del Legato Pio.
La Congregazione di Carità, che funzionava allora «con difficoltà a causa del richiamo alle armi del presidente e dei membri», preferì affidare il compito al Comune di Vinci che, con deliberazione podestarile dell’11 luglio 1929, accettò «un titolo di debito Pubblico Consolidato 5% della rendita annua di £.1700 da crearsi e vincolarsi a favore di questo Comune da servire in perpetuo per il ricovero di un vecchio o di una vecchia del Popolo di Sovigliana nell’Istituto Vincenzo Chiarugi di Empoli».
Le successive vicissitudini dei titoli di debito pubblico del governo fascista coprirono di oblio le oneste intenzioni del buon Alfonso che dovette assistere all’abbandono della sua sepoltura all’ingiurie del tempo.


Ilaria Morelli
Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Orizzonti nel 2016