Per San Matteo inizia la vendemmia

La storia di un popolo e di un luogo attraverso i Santi Patroni. Oppure di come saper quando vendemmiare, come facevano una volta.

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Lo scorso 11 settembre la nostra Associazione ha organizzato per conto della Parrocchia di Santa Croce una conversazione su “La storia dei Santi Patroni di Vinci”, a cura di Nicola Baronti, con Luca Dal Canto alla parte tecnica. È stata l’occasione per narrare la storia del territorio attraverso il sentimento religioso che una volta era un tutt’uno con quello civile, così com’era impossibile distinguere la festa religiosa da quella civile. Una serata con la quale, grazie anche al bagaglio di appunti e note di Renzo Cianchi, si è dato inizio a un nuovo e interessante progetto di ricerca e di valorizzazione di antiche usanze e tradizioni dei popoli che compongono il nostro Comune.

Ai tempi di Leonardo, la vendemmia non poteva essere iniziata a proprio piacimento, bensì nel tempo ordinato per conto della Podesteria dai capitani e dodici consiglieri del Comune: “… niuna persona del Comune di Vincio ardisca overo presuma vendenniare o vero vendemmiare fare innanzi al tempo ordinato o che si ordinerà pe’ capitani et dodici consiglieri che per lo tempo saranno sieno tenuti et debbino ciascuno anno innanzi la vendemmia ordinare…” (Rubrica 57 – Statuto Comune di Vinci, 1418). Di solito, la vendemmia aveva inizio il primo giorno d’autunno, in altre parole nel dì di San Matteo (21 settembre), com’è ricordato in molti altri statuti comunali del periodo. Si legge inoltre nello Statuto vinciano: “… che niuna persona detà di sette anni o da indi in su ardisca o vero presuma danno dare in alcuna vigna piena di uve…” (Rubrica 63 – Statuto Comune di Vinci 1418). Da tale norma si evince che anche i fanciulli dall’età di sette anni in su erano soggetti passivi della giurisdizione del Podestà ed erano puniti, soprattutto se scoperti ad arrecare danno alle vigne piene di uva. Anche le bestie dovevano stare lontano dalle vigne, per almeno sette mesi, da marzo a settembre: “… Et che se alcuna bestia pecorina caprina overo di qualunque generatione grossa danno dessino ad alcuna vigna daltrui da marzo insino a tucto septembre sia condannato il signore o vero guardia desse bestie…” (Rubrica 66 – Statuto Comune di Vinci, 1418).

La vendemmia è un evento importante nell’economia di una famiglia contadina o, comunque, dedita alla produzione del vino. Da sempre è l’occasione per radunare nella raccolta tutti i membri, dai più giovani ai più vecchi; anche i parenti e i vicini di vigna si danno una mano reciproca. È l’occasione per fare un primo bilancio dell’annata agraria che volge al termine, secondo la quantità e qualità del raccolto. Non è quindi un caso se nel sentimento popolare e religioso San Matteo diventi un santo protettore, laddove il calendario dei Santi viene a coincidere con quello civile. Anche se a Vinci la Podesteria non fissi automaticamente in tal giorno, nel dì di San Matteo ovvero il 21 settembre, l’inizio della vendemmia, come invece accade in molte altre località del Chianti, il santo “della vendemmia” è stato veneratissimo per secoli dalla gente di Vinci, anche se oggi non rimane più traccia del culto. Addirittura tra gli atti civili degli archivi, appuntati dallo storico bibliotecario, Renzo Cianchi, risulterebbe già nel 1416 un legato testamentario in favore della Cappella di San Matteo in Santa Croce. La cappella doveva essere inoltre molto importante e il beneficio di una certa consistenza, perché su di essa i Cecchi, altra importante famiglia di Vinci al tempo di Leonardo, vi esercitano dei diritti. Nel 1442 la Cappella lega il suo nome a un personaggio leonardiano, ovvero a quel Ser Piero, prete e figliolo di Bartolomeo di Guido Cecchi (Piero di Pagneca) che nel 1452 battezzò il neonato Leonardo, il quale all’epoca, oltre che essere cappellano dell’altare di San Matteo nella chiesa di Santa Croce, è Rettore di San Lorenzo in Arniano e rettore di San Bartolomeo a Streda (altre località in seguito legate al patrimonio immobiliare dei Da Vinci).
Come annota Renzo Cianchi, tra gli atti civili del 1570 conservati presso la Curia Vescovile, si rinviene un altro documento da cui risulterebbe che gli individui della famiglia Gangalandi (ovvero di Giovanni Gangalandi, meglio di Giovanni di Jacopo di Pasquino vocato Gangalandi) sono indicati ab immemorabili patroni del benefizio di San Matteo. Gangalandi – si ricorda – è il personaggio che l’8 settembre 1470 si trova invischiato con l’Accattabriga, patrigno di Leonardo, nei fatti di Massa Piscatoria (attuale Massarella) quando la cerimonia religiosa è bruscamente interrotta a causa dei disordini e disturbi venutisi a creare, per cui segue un processo presso la Curia. Gangalandi è indicato nel 1479 come frantoiano ad Anchiano, nel 1504 come gestore del Fattoio del Castello di Vinci “in su la gora dei fossi”, laddove anche lo zio di Leonardo, Francesco da Vinci, prende in affitto perpetuo i diritti sul mulino del Castello. Lo stesso Cianchi individua i possedimenti della famiglia di Gangalandi presso le località ancora oggi denominate Grappa e Grappina.
La festa di San Matteo comunque vive a Vinci degli alti e bassi. Già nel 1741 la Chiesa e il popolo sono costretti a ripristinarla a tutti gli effetti, come si legge nelle vacchette dell’archivio parrocchiale.

Questo piccolo racconto storico ci consente due osservazioni finali.
La prima: come ricordato durante la conversazione dedicata a “La storia dei Santi Patroni di Vinci”, organizzata dall’associazione Vinci nel Cuore lo scorso 11 settembre nella Chiesa di Santa Croce, anche attraverso i Patroni e i Patronati di un luogo e di un popolo è possibile ricostruirne gli usi, i costumi e i sentimenti. Soprattutto quando il calendario civile, gli statuti comunali ne sono un esempio, e l’uso antico, per alcuni un vezzo, di indicare i giorni sul proprio diario non secondo i numeri bensì il nome dei santi, tradisce l’origine e la provenienza di un popolo o di una persona. Peraltro viviamo in un comune in cui i popoli che lo compongono sono storicamente legati al nome di Santi che alla fine incidono sul calendario civile, oltre che religioso, in alcuni casi danno ancora oggi il nome civile al luogo (Sant’Ansano, San Pantaleo, San Donato, Sant’Amato ne sono un esempio).
La seconda è che se passano i tempi non cambiano le usanze. Se una volta il nome del Santo era utilizzato come una sorta di moderno post-it per ricordarsi di un evento, il tempo della vendemmia, ancora oggi, soprattutto per chi vive il mondo della cooperazione in ambito vitivinicolo, è importante rapportarsi sulle date di inizio e di gestione degli strumenti comuni per la migliore realizzazione del prodotto. Così come un tempo faceva il Podestà che, per conto della dominante fiorentina, sulla base della stagione stabiliva il giorno in cui si poteva iniziare la raccolta, in modo da garantire la migliore qualità del prodotto, oggi sono i tecnici delle grandi cantine cooperative a stabilire per tutti i soci il calendario dei lavori e della raccolta, delle uve bianche e uve rosse, per garantire il migliore risultato. E dalle nostre parti, dove è molto forte il fenomeno cooperativo, ce ne accorgiamo facilmente dal numero di trattori e carrelli che in questi giorni incontriamo lungo le strade (magari rallentando il traffico) che dalle vigne conducono le uve raccolte alla cantina della cooperativa. Non ci facciamo più caso perché il nostro calendario “interiore” si è ormai secolarizzato e laicizzato ma con molta probabilità è arrivato il giorno di San Matteo.


Nicola Baronti