Renato Fucini, Vinci e i vinciaresi

Alcuni spunti di ricerca per il prossimo anno fuciniano tratti dalle “Cronache Vinciane”, in un articolo di Nicola Baronti.

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Per molto tempo Renato Fucini (1843-1921) è rimasto fuori da manifestazioni ufficiali, relegato da qualche critico e amministratore locale in un angolo, nonostante sia stato per quasi tutto il Novecento un autore molto amato dalla gente.
Fortunatamente da qualche anno, grazie anche alla nascita nel 2018 del Festival Fuciniano, mentore l’allora assessore alla cultura di Vinci, Paolo Santini, e l’imminenza del prossimo anno fuciniano (ovvero cent’anni dalla morte) si ritorna a parlarne.
E non mancherà materiale, anche inedito, dello scrittore, nato a Monterotondo Marittimo, ma vissuto per molto tempo e sepolto a Dianella.
Da approfondire sono ancora i rapporti tra Fucini e Vinci. Come ho scritto in altre occasioni, i Fucini, oltre a Renato aggiungo il padre David, poeta meno conosciuto – altrettanto arguto – sono stati degli irriverenti cantori dei piccoli vizi dei loro conterranei, soprattutto vinciaresi o vincesi, come si chiamavano un tempo, ed empolesi che spesso si trovavano vittime delle loro acutissime rime scherzose.

Ma qual era il loro rapporto con Vinci?
Il padre David, noto massone e anticlericale, è stato medico condotto (molto chiacchierato) e vicesindaco. In un famoso epigramma scrive: Mirate il caso tristo/Mi fanno vicesindaco/Cascan le braccia a Cristo, ricordando indirettamente lo scalpore che fece la sua nomina in una Vinci in cui vivevano oltre dieci preti, al punto tale che nella notte di quel fatidico giorno un fulmine, durante un temporale, staccò le braccia a un crocifisso ligneo che si trovava a Frallupaia, tra Vinci e Streda.

Anche il sor Renato aveva sicuramente Vinci nel cuore, forse un po’ meno i suoi abitanti. Ne ho avuta una riprova recentemente nel compilare per l’associazione Vinci nel Cuore i due quaderni delle «Cronache Vinciane» ovvero le cronache delle “giornate” dedicate da Vinci al suo figlio illustre Leonardo, dal 1919 al 1982. In particolare, nell’articolo intitolato “Vinci al gran Leonardo”, pubblicato su Il Giornale d’Italia il 26 maggio 1919, dove si racconta della solenne commemorazione per i quattrocento anni dalla morte del Genio in quel di Vinci, fra le altre cose, si ricorda l’inaugurazione del primo nucleo del Museo Vinciano, realizzato in una sala del Comune, abbellita per l’occasione dal busto di Leonardo, opera dello scultore Quadrelli, dono del senatore Luca Beltrami.
Ed è giusto ricordare per doverosa esattezza che il merito maggiore di questa collezione leonardesca è dovuto a Renato Fucini – scrive il cronista del tempo -. Il Fucini che ha la sua villa a Dianella, tra Empoli e Vinci, è consigliere comunale da gran tempo e le amministrazioni che si sono susseguite hanno sempre affidato specialmente a lui l’incarico di ricordare ai Ministeri, alle Commissioni e alle Accademie che Vinci è la patria di Leonardo e che perciò ha diritto più di ogni altra città a serbare in sé i semi della gloria del grande figliuolo. A vedere la Biblioteca Vinciana in Comune (c’è anche una riproduzione del Codice Atlantico e di quello sul volo degli uccelli) bisogna riconoscere che il Fucini ha saputo rispondere degnamente al suo incarico”.
L’informazione è curiosa, inedita per certi versi, non essendo riportata nella storia ufficiale della fondazione della Biblioteca Leonardiana, soprattutto se confrontata con altre. Nelle cronache del 1951, l’anno prima delle celebrazioni per i cinquecento anni dalla nascita di Leonardo, esce un articolo a firma di Marco Marchini su vari quotidiani italiani dal titolo pressoché simile: “Un’importante testimonianza di Emanuele Pasquini. Come il Fucini convinse un amico ad arricchire il Museo Leonardesco” (Unione Sarda, Cagliari del 18.11.1951; oppure per tutti “Per merito di Fucini. Così Vinci ebbe un codice”, su Corriere Lombardo 14.11.1951). Si tratta di un gustoso episodio che Renato Fucini avrebbe riferito nel 1919 al professor Emanuele Pasquini. Si narra di come lo scrittore di Dianella sarebbe riuscito ad acquisire per il museo di Vinci, in occasione delle celebrazioni del 1919, una rara copia del Codice Atlantico pubblicata dall’Accademia dei Lincei, grazie alla presunta tirchieria di un famoso latinista, Alessandro Chiappelli, all’epoca segretario della stessa Accademia, circuito dal sor Renato durante un incontro occasionale a Firenze in via Calzaiuoli. L’aneddoto è divertente, nello stile sicuramente del maestro di Dianella. Tuttavia non tornano le date riportate nell’articolo del 1951, come si è avuto modo di appurare. Il Codice Atlantico, edito per conto dell’Accademia dei Lincei, è stato acquisito per donazione dal Museo Vinciano nel 1911, non nel 1919. Tanto meno il Fucini sarebbe stato presidente del comitato per le onoranze leonardiane del 1919, come riferito dal Pasquini. Anzi non ne faceva parte; non sarebbe stato neppure presente a Vinci quel fatidico 25 maggio 1919 per la commemorazione ufficiale, probabilmente per ragioni di età o di salute. Che quella nota all’interno della cronaca ufficiale del 1919 sia stata quindi una sorta di omaggio del giornalista al noto scrittore? Probabile. Il Fucini sicuramente amava essere lusingato, anche se poi tanta attenzione e richieste da amici e stimatori alla fine lo stancavano abbastanza. Tra queste contraddizioni, in parte giustificate dalla distanza di tempo, non escluderei un fondo di verità.
Non è la prima volta che il Fucini fa impazzire gli storici locali.
Molto spesso per i suoi racconti e aneddoti prende spunto da fatti e personaggi tratti dalla cronaca, ambientandoli magari in contesti e periodi storici diversi. Il racconto del Pasquini e del cronista del primo Novecento sono così dettagliati, citano nomi e circostanze che meritano quindi un altro approfondimento. Del resto la lunga permanenza dei Fucini nell’aula del Consiglio Comunale di Vinci è ricordata, quasi certificata, in bellissime pagine dello scrittore. Da quelle dedicate all’assessore del Comune di Vinci, Tralacche, vittima di un famoso epigramma del padre David: E Tralacche sostiene che Profeta/ Si scrive coll’accento sulla zeta, fino a quel Salvino, consigliere comunale, immortalato in una salace quartina da Renato con la complicità di un caricaturista d’eccezione, Giovanni Baldi Papini, nel corso di una seduta comunale: Questi è Salvino, uom di raro merto/ che alle parole non dà mai la via/ Fino a che non è certo/ Di poter dire una minchioneria.

Il Salvi, così faceva di cognome, era un piccolo possidente del Montalbano. Di natura calvo, indossava la parrucca, di tre tipi e misura, per far fronte alle stagioni e alle mezze stagioni. Nel consiglio comunale si distingueva, almeno per il Fucini, a causa di un eccessivo zelo. Per paura di fare figuracce nel rimanere zitto interveniva nel dibattito in qualsiasi momento, spesso a sproposito. Peraltro i Salvi di Vinci sono spesso nelle mire dei Fucini, forse anche per quella loro vicinanza anche al mondo cattolico, dei preti del tempo.

Contro un altro Salvi, questa volta un prete, è passato alla storia un epigramma del padre di Renato, il famigerato quando divertente David. Si tratta di don Carlo Salvi, anche se in alcune ristampe dell’autobiografia fuciniana (Foglie al vento) compare come Calvi (forse una censura del curatore della ristampa? Chissà). Anche questo Salvi era un personaggio la cui notorietà travalicava i confini parrocchiali (lo troviamo anche economo “spirituale” nella vicina parrocchia di San Pantaleo) dai Fucini soprannominato «Prete Loia».
Un giorno incontrando per strada David Fucini gli aveva detto: “Lasciatemi andare, dottore, perché ho un appetito divoratrice”. Il medico fece notare l’errore al sacerdote, ma Don Loia, inviperito, sosteneva d’aver detto bene, per cui meritò di passare alla storia per questo epigramma fuciniano (da “Foglie al vento”):

Chi sa che pensa, chi sa che dice
Prete Appetito divoratrice!
Forse egli medita, nel nero core,
Qualche vendetta sterminatore!


Nicola Baronti
Questo articolo è un aggiornamento di quello già pubblicato sulla rivista Orizzonti, maggio 2018